Oggi ricorrono i 40 anni dall’assassinio di Rocco Chinnici e della strage di via Pipitone, dove persero la vita anche i Carabinieri Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta e Stefano Li Sacchi.
Chinnici fu colui che, dopo l’assassinio di Cesare Terranova, divenne il capo dell’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo in un momento cruciale della storia della lotta alla mafia. Il ricordo del suo esempio e del suo lavoro sono una pietra miliare dell’antimafia.
Ideatore e ispiratore del “pool antimafia”,
A lui dobbiamo un metodo innovativo di indagine. Fu il primo magistrato moderno, ad aver capito che la lotta alla mafia andava fatta centralizzando le indagini. Comprese l’importanza di studiare unitamente il fenomeno mafioso nel tentativo di ricercare le interconnessioni tra i grandi omicidi ed eventi minori, con delle straordinarie intuizioni e la valorizzazione del lavoro di squadra in ambito investigativo.
La sua attività quotidiana, fatta di impegno e di dedizione per l’affermazione della legalità e di una società più giusta é sempre stata rivolta alle giovani generazioni, a cui si rivolgeva spesso in occasioni pubbliche. Con lui si afferma la convinzione che il contrasto alla mafia non può fondarsi soltanto sulla repressione, ma principalmente su una forte e comune coscienza civile.
Il suo sacrificio e il suo esempio, devono tenere viva la memoria sulle barbarie delle organizzazioni criminali e rappresentare un monito per mantenere sempre alta l’attenzione in una fase delicata, caratterizzata da una nuova mafia, che é integrata nel tessuto economico, ma che non ha perso la sua connotazione violenta.
“Rocco Chinnici non si stancò mai di ripetere, ogni volta che ne ebbe occasione, che solo un intervento globale dello Stato, nella varietà delle sue funzioni amministrative, legislative ed, in senso ampio, politiche, avrebbe potuto sicuramente incidere sulle radici della malapianta, avviando il processo del suo sradicamento”. Paolo Borsellino,